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Antiacidi: funzionamento e implicazioni

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Un dolore localizzato nello stomaco, un “incendio” alla base dello sterno: è la malattia del terzo millennio. Ne soffre il 70% degli adulti, le cause? Errata alimentazione, l'abuso di farmaci (come antinfiammatori e antiacidi), ansie, stress, sedentarietà, tabacco, alcolici, ecc. Stiamo parlando di bruciori di stomaco, reflusso, iperacidità, gastriti: nomi diversi con cui ci si riferisce a problematiche infiammatorie che coinvolgono la parete gastrica interna e che limitano la quotidianità di sempre più persone.

Alla base di tutto c’è sempre l’incapacità dello stomaco di svolgere adeguatamente le sue funzioni, ovvero di mantenere l’equilibrio tra i fattori “aggressivi” che possono ledere l’integrità dei tessuti (succhi gastrici ed enzimi digestivi) e i fattori “protettivi” (muco alcalino, molecole ad azione protettiva come le prostaglandine 2, ecc.) che rappresentano la naturale protezione della mucosa gastrica. I prodotti comunemente consigliati in caso di bruciore e acidità si possono dividere in due categorie: i tamponanti e gli antisecretivi. Ma come agiscono questi medicinali?

I “tamponanti”

I rimedi antiacidi (chiamati "tamponanti") agiscono neutralizzando gli acidi già prodotti e secreti all’interno dello stomaco. Tra questi i più consigliati sono quelli a base di bicarbonato di sodio, il carbonato di calcio e gli idrossidi di magnesio e alluminio.

Se in una condizione di disequilibrio tra fattori “protettivi” ed “aggressivi” si assumono i comuni antiacidi ad azione tamponante, si abbassa l’efficienza gastrica perché lo stomaco, privato dell’azione dei succhi digestivi, non riesce a svolgere le sue fisiologiche funzioni, come la digestione degli alimenti e la sterilizzazione del chimo prima che passi nell’intestino.

Gli antisecretivi

L’altra categoria di rimedi largamente utilizzata per cercare di contrastare gli episodi di iperacidità e bruciore gastrico, agisce inibendo la secrezione dei succhi gastrici acidi da parte dello stomaco. Questo effetto può essere raggiunto in due modi: il primo è attraverso l’utilizzo di farmaci H2 antagonisti, il secondo è con l’impiego di farmaci inibitori di pompa protonica (IPP).

I farmaci antiacidi H2 antagonisti sono molecole in grado di interagire su uno specifico recettore (recettore H2), provocando una diminuzione del rilascio di acidi all’interno dell’ambiente gastrico, con effetti collaterali non solo nell’apparato digerente ma a livello di tutti gli apparati dove sono presenti i recettori H2: l’apparato cardiovascolare, il sistema immunitario e il sistema nervoso centrale.

L’altra classe di antiacidi utilizzati sono gli inibitori di pompa protonica (IPP). Largamente prescritti non solo all’interno della popolazione adulta ma anche nella fascia pediatrica e negli adolescenti, e spesso consigliati per tempi prolungati, agiscono inibendo un particolare enzima che pompa all’interno dell’ambiente gastrico i protoni che si combinano con il cloro per formare l’acido cloridrico (HCl).

In un ambiente acido come quello presente nello stomaco, i farmaci inibitori di pompa protonica si legano in modo irreversibile al loro bersaglio impedendogli di svolgere la sua fisiologica funzione: un’unica dose di farmaco permette l’inibizione della secrezione acida per circa 24 ore.

Gli effetti collaterali

Queste categorie di farmaci, variando il pH fisiologico dello stomaco con implicazioni sulla salute nel medio e lungo termine, tamponano l’acidità e non risolvono in modo definitivo, trascurando le cause del problema che creano il disequilibrio gastrico. In particolare sono caratterizzati dalla capacità di danneggiare la mucosa gastrica, innescando il cosiddetto “effetto rebound” o “effetto rimbalzo”: più si innalza il pH dello stomaco per ridurne l’acidità, più, paradossalmente, aumenta in modo spropositato la produzione di acido da parte dello stomaco, il quale tenta in tutti i modi di tornare “acido” per garantire la sua perfetta funzionalità.

In secondo luogo alterano i processi digestivi, abbassando l’efficienza gastrica: viene meno sia la corretta digestione degli alimenti che l’adeguata sterilizzazione del chimo che può così arrivare nell’intestino contaminato da patogeni e contribuire all’instaurarsi di disbiosi, candidosi, intolleranze alimentari, ecc.

Infine è stato visto che la classe degli IPP innescano una pericolosa ipomagnesemia, riduzione della concentrazione del magnesio nel sangue, che può manifestarsi a breve termine con sintomatologie quali debolezza, affaticamento, letargia e a lungo termine con tetania, convulsioni, aritmie cardiache. Questi sintomi possono insorgere anche dopo solo pochi mesi di utilizzo continuativo degli IPP ed inoltre è stato anche evidenziato che l’ipomagnesemia viene corretta dopo pochi giorni di interruzione della terapia farmacologica con IPP.

L’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha emanato delle segnalazioni auspicando ad una corretta vigilanza sulla somministrazione di IPP, proprio in corrispondenza delle evidenze che hanno correlato casi di tetania associata ad ipomagnesemia, comparsa in seguito all’uso prolungato di inibitori di pompa protonica.

È quindi fondamentale prestare particolare attenzione ai potenziali rischi e benefici del trattamento scelto in presenza di problematiche di iperacidità e reflusso, valutando ulteriori alternative fitoterapiche che non alterano i valori fisiologici di pH, favorendo il ripristino delle funzionalità gastrica senza inibirne le indispensabili attività e condizioni fisiologiche. Altresì fondamentale sarà agire in maniera organica e completa modificando lo stile di vita, eliminando le abitudini scorrette e facendo particolare attenzione a scegliere una corretta alimentazione.

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